Ti sei mai accorto che crescere non coincide affatto con il passare del tempo?
Non è un automatismo.
Puoi accumulare anni, esperienze, titoli… e rimanere sempre uguale.
E poi, all’improvviso, un incontro, un progetto, una sfida che ti spinge fuori equilibrio e ti costringe a rimetterti in discussione.
La verità è che la crescita non nasce da ciò che conosciamo, ma dall’attraversare momenti che ti portano oltre la tua zona di confort.
Sono situazioni che non sempre scegli, ma che hanno il potere di trasformarti.
Io l’ho imparato anche grazie a Paolo, il mio referente, la mia guida. Non perché mi abbia spiegato delle teorie, ma perché nel lavoro quotidiano mi ha mostrato che crescere significa affrontare la vita senza timore, lasciarsi toccare dalle esperienze e condividerle, portando con sé gli altri in questo percorso.
È un processo tutt’altro che comodo, ma straordinariamente liberatorio. E la cosa più sorprendente è che quasi sempre non avviene da soli, ma insieme agli altri: in un team, in una comunità, in un contesto dove la collaborazione diventa la chiave per scoprire risorse che non pensavi di avere.
E se ci pensi, è proprio questo il punto: la crescita non è mai un atto individuale. Ogni passo avanti acquista senso solo se intrecciato a quelli degli altri. Un violino da solo può emozionare, ma è solo nell’orchestra che nasce la sinfonia. Le sfide del nostro tempo sono troppo grandi per un solista: richiedono la potenza del coro.
“…suonando insieme si impara anche a rimanere al proprio posto, a rispettare il posto dell’altro e proprio questo rispetto per l’altro è la caratteristica principale…” - Mirko Donninelli TEDx Talks
Lo dimostrano anche i numeri. Secondo il Sustainable Development Report 2024, solo il 17% degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile è sulla giusta traiettoria. Per colmare il divario servono alleanze, non eroismi individuali: la partnership (Goal 17) è la leva che rende possibile ogni altro progresso.
Lo conferma anche il World Happiness Report 2025: i Paesi che occupano i primi posti della classifica non sono i più ricchi, ma quelli che hanno saputo costruire reti di fiducia e generosità. Lì dove la solidarietà diventa pratica quotidiana, la felicità cresce.
In Italia, invece, pur posizionandoci al 40° posto, scivoliamo molto più in basso quando si parla di donazioni (106° posto) e volontariato (121° posto). È un segnale chiaro: senza collaborazione e impegno collettivo, non solo rallentiamo il percorso verso gli SDGs, ma ci priviamo anche di quella qualità della vita che nasce dal fare insieme.
Anche l’OECD lo conferma: le comunità con più capitale sociale, fatto di fiducia, partecipazione civica e volontariato, resistono meglio alle crisi economiche e ambientali. Nel report How’s Life?2024 viene evidenziato che proprio queste reti di relazioni sono uno dei predittori chiave della resilienza. In poche parole, dove più persone si attivano insieme, la comunità diventa più capace di adattarsi e ripartire dopo uno shock.
Dati che confermano quanto la promozione di una cittadinanza attiva e solidale non sia un aspetto marginale, ma un vero motore di sostenibilità.
A ricordarcelo, con una fotografia nitida ma non sempre rassicurante, è l’ultimo report ISTAT sul volontariato (2023). Oggi in Italia sono circa 4,7 milioni le persone che dedicano parte del loro tempo agli altri: il 9,1% della popolazione sopra i 15 anni. Ma rispetto al 2013 il numero è sceso di oltre tre punti percentuali: un campanello d’allarme che invita a chiederci come e dove stiamo costruendo comunità.
Il calo riguarda soprattutto gli aiuti individuali “porta a porta” (-10,1%), mentre cresce chi sceglie di impegnarsi in iniziative collettive per la comunità, l’ambiente e il territorio (+14,7%). È come se la solidarietà avesse cambiato forma: meno gesti isolati, più energie condivise. Una trasformazione che ci dice qualcosa di importante: quando ci uniamo intorno a un obiettivo comune, l’impatto si moltiplica.
Il quadro resta variegato. Nel Nordest più del 9% dei cittadini partecipa a progetti organizzati, mentre al Sud i numeri sono ancora bassi. Anche le generazioni raccontano storie diverse: i giovani adulti (25-44 anni) sono quelli che hanno abbandonato più attività negli ultimi dieci anni, mentre gli over 65 restano i custodi più fedeli di questo patrimonio di solidarietà. Forse è un invito a interrogarci su come rendere il volontariato più accessibile e motivante anche per chi oggi si sente distante.
Volontariato in Thailandia con i bambini del MomTik Camp - Associazione Joint che accompagna giovani italiani ed europei in esperienze di volontariato internazionale e inclusione sociale.
Le motivazioni che spingono a impegnarsi sono rivelatrici: chi partecipa ad associazioni lo fa per ideali condivisi (31,1%) e per il bene comune (21,5%), chi offre aiuto diretto lo fa spesso per rispondere a un’urgenza (27,5%) o per sostenere qualcuno in difficoltà (24,6%). In entrambi i casi, al centro resta la scelta di non restare spettatori.
In sintesi, il volontariato italiano è meno uniforme e più fragile rispetto al passato, ma continua a dimostrare che la collaborazione è il suo vero cuore pulsante. La domanda che rimane aperta è semplice e scomoda allo stesso tempo: vogliamo che questa energia collettiva si rafforzi o lasciarla lentamente spegnersi?
E poi c’è un altro attore che può fare molto per tenere viva questa energia collettiva: le aziende.
Sempre più spesso si parla di volontariato d’impresa e non è difficile capire perché. Non si tratta di beneficenza dall’alto, ma di un modo per aprire le porte delle imprese alla comunità e trasformare le competenze dei lavoratori in valore condiviso.
Secondo diverse ricerche, esistono almeno quattro modalità principali di volontariato d’impresa, ciascuna con caratteristiche e obiettivi diversi.
La prima è il volontariato professionalizzante, pensato soprattutto per i giovani quadri o i neoassunti: periodi di affiancamento presso ONG o realtà sociali, anche all’estero, che diventano occasioni di crescita personale e professionale. Una sorta di “palestra” che sviluppa nuove competenze e al tempo stesso rafforza il legame con il contesto sociale.
C’è poi il volontariato educativo, in cui i dipendenti si mettono in gioco come mentori o modelli di ruolo per bambini e ragazzi. Può trattarsi di sostegno nei doposcuola, orientamento per soggetti fragili o attività di sensibilizzazione nelle scuole: esperienze che non solo arricchiscono chi le riceve, ma aiutano anche chi le fa a riscoprire il valore della responsabilità verso le nuove generazioni.
Un’altra forma molto diffusa è il volontariato di competenza, che valorizza le competenze tecniche e manageriali dei lavoratori. Qui l’impegno può andare dall’aiutare un’associazione a redigere un bilancio, fino a supportare una cooperativa nella raccolta fondi o nell’organizzazione di un evento benefico. È il sapere d’impresa che incontra i bisogni del Terzo Settore, creando un ponte tra mondi che normalmente non si parlano.
“You treat a disease, you win, you lose. You treat a person, I guarantee you, you’ll win, no matter what the outcome” - Patch Adams
Non è un caso che il volontariato aziendale sia spesso visto come un “fratello” del welfare aziendale. Entrambi sono strumenti che rafforzano il benessere dei lavoratori e, allo stesso tempo, creano valore fuori dalle mura dell’impresa.
Una ricerca condotta in Portogallo ha calcolato che ogni euro investito in programmi di volontariato aziendale produce almeno 3,55 euro di valore sociale, e che un’ora di volontariato può generare un ritorno fino a 5,75 volte il suo costo. È la prova che solidarietà e collaborazione non sono solo concetti etici, ma anche leve concrete di sostenibilità: fanno crescere le persone, rafforzano le comunità e rendono le imprese più resilienti e credibili.
La cosa interessante poi è che, dietro a questi impegni, non ci sono solo aziende note, ma anche una miriade di piccole e medie realtà che sperimentano forme nuove di collaborazione con i territori.
Solo qualche piccolo esempio saltellando tra le nostre regioni.
A Udine, Hattiva Lab è una cooperativa sociale che ogni giorno lavora per l’inclusione di bambini, ragazzi e adulti con disabilità. Non è solo un centro di servizi: è un laboratorio di cittadinanza attiva, dove si fanno doposcuola inclusivi, corsi di autonomia, attività culturali che coinvolgono famiglie, scuole e istituzioni.
A Roma, i ragazzi di Barikamà, partiti da condizioni di sfruttamento, hanno scelto di fondare una cooperativa agricola: yogurt e ortaggi diventano strumenti di dignità e di incontro, perché nel loro laboratorio trovano spazio anche persone con disabilità.
La clinica mobile di WelfareCare
In Veneto, WelfareCare ha trasformato la prevenzione in un gesto di prossimità: un camper che arriva in piazza e regala a migliaia di donne la possibilità di fare uno screening gratuito.
In Puglia, invece, Farmalabor ha scelto di intrecciare innovazione e solidarietà: tra farmaci e ricerca convivono orti sociali, biblioteche e persino un laboratorio per detenuti prossimi alla fine pena.
Sai cosa mi colpisce? Il carattere corale di queste esperienze.
Non si tratta di filantropia dall’alto, ma di iniziative che nascono “insieme”: aziende, associazioni, scuole, amministrazioni locali. È qui che la collaborazione diventa la chiave per risolvere i problemi.
C’è infatti una citazione che mi accompagna spesso: “L'impegno individuale in uno sforzo di gruppo: è quello che fa funzionare un team, un'azienda, una società, una civiltà.” È così semplice, eppure così vera. Perché la solidarietà non è mai un atto solitario: è la consapevolezza che ciascuno di noi porta un pezzo, piccolo o grande, dentro un progetto più grande di sé.
Come in un’orchestra: il violino, il contrabbasso, il tamburo, ognuno con la propria voce distinta, ma tutti chiamati a inseguire la stessa melodia. Non c’è un ruolo minore, se l’obiettivo è condiviso.
Forse la sostenibilità sociale è proprio questo: accettare che la trasformazione nasce quando riconosciamo il valore del nostro contributo, ma soprattutto quando lo uniamo a quello degli altri.
E allora sì, come cantano gli U2, “we get to carry each other”.
Non è un peso, è il privilegio di costruire qualcosa che da soli non esisterebbe.
A presto,
Chiara Pontoni
Sustainaibility Manager Gesteco