Sostenibilmente in - 3 Giugno 2025

La sostenibilità? Robe da artisti

Dal museo al murales: il lato creativo del cambiamento

Qualche mese fa sono stata alla mostra "McCurry – Sguardi sul mondo" a Trieste.Una fotografia mi ha catturata più di tutte: cammelli spaesati tra fiamme e nuvole di fumo nero in un deserto che sembra Marte, ma invece era la Terra. Era il Kuwait, 1991. Una distesa di pozzi petroliferi in fiamme, incendiati durante la guerra del Golfo. Sotto, una piccola targhetta: "Al Ahmadi, Kuwait".Quel cielo bruciato non riesco a dimenticarlo e nemmeno la sensazione che ho provato.In quel momento ho capito una cosa: l’arte non ci consola, ci sveglia. E quel risveglio, a volte, brucia.

L'arte ci cambia. Anche senza che ce ne accorgiamo.

Secondo l'UNESCO, la cultura rappresenta oggi il 3,1% del PIL mondiale e impiega oltre 30 milioni di persone a livello globale. Per avere un termine di paragone, il settore della pesca commerciale impiega circa 39 milioni di persone nel mondo, secondo la FAO (2022). La cultura non è quindi il comparto più grande, ma è uno dei più trasversali, capaci di intrecciare valore simbolico, economico e sociale. Questo numero include occupazioni nei settori della musica, del cinema, delle arti visive e dello spettacolo dal vivo.

Ma il suo vero valore è invisibile: si misura nella capacità di generare senso, visione, relazione.

“La cultura è la forza più potente del cambiamento.” 
- Irina Bokova, ex Direttrice Generale UNESCO

Un progetto che mi ha colpito in questo senso è "TOward 2030. What Are You Doing": 18 grandi opere di street art dedicate ai 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU più uno inedito, il Goal Zero: il diritto di sapere, conoscere, scegliere. Le opere sono diventate parte del tessuto urbano a Torino, ma soprattutto del tessuto mentale di chi le vive. Una galleria a cielo aperto, gratuita, quotidiana, trasformativa.

Un altro esempio che dimostra quanto siano sottili, ma potenti, le impronte che l’arte sa lasciare nel paesaggio urbano e nella coscienza, è quella delle minuscole sculture di Isaac Cordal, artista spagnolo che nella serie Waiting for Climate Change ha collocato piccoli uomini d'affari in ambienti urbani, spesso immersi nell’acqua o nascosti in crepe e angoli dei marciapiedi.

La sua opera più famosa è stata eseguita a Berlino nel 2011: parte della serie Follow the Leaders, è rimasta nella memoria collettiva come Politicians Discussing Global Warming. In una pozzanghera grigia, alcune figurine discutono immobili, con l'acqua fino alla gola. Un'immagine tanto semplice quanto devastante, che condensa l'inadeguatezza del potere di fronte all’emergenza climatica.

Cordal ci costringe a chinare lo sguardo, letteralmente. E in quel gesto fisico, quasi umile, ribalta la scala: piccoli uomini, grande verità.

 Isaac Cordal, Follow the leaders, Berlino

Dati e arte: un incontro (im)possibile?

Eppure, non dimentichiamolo: anche l'arte ha un'impronta. Secondo uno studio dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, un’ora di streaming in HD può emettere da 55 a 114 grammi di CO₂, a seconda della piattaforma e del dispositivo utilizzato. È l’equivalente di lasciare accesa una lampadina LED per 24 ore: un dato significativo se moltiplicato per il numero crescente di fruizioni digitali nel mondo della cultura.

Se invece guardiamo da vicino il nostro patrimonio culturale, la Pubblica Amministrazione italiana gestisce oltre 3.000 musei e luoghi culturali, con un consumo annuo complessivo che supera 1 TWh di energia elettrica, pari a quello di una città di medie dimensioni.

E se lo guardiamo sempre da vicino, ma in lingua inglese? Secondo il report Culture, Climate and Environmental Responsibility di Julie’s Bicycle e Arts Council England, il settore culturale britannico ha emesso circa 84.561 tonnellate di CO₂ equivalente. La fonte principale è il consumo energetico (54%), seguito dalla gestione dei rifiuti (28%) e dai viaggi di artisti e personale (10%). Una fotografia precisa delle sfide ancora aperte, ma anche dei margini di miglioramento.

Gli eventi dal vivo poi, seppur tra i più coinvolgenti, restano purtroppo tra i più energivori. Un singolo festival può produrre da 500 a 1.000 tonnellate di CO₂, soprattutto per il trasporto del pubblico e la logistica. Alcuni grandi eventi hanno però introdotto misure sostenibili: alimentazione off-grid, materiali scenici riutilizzati, premi per il pubblico che arriva in bici o in treno (ti ricordi che qualche newsletter fa avevamo parlato di eventi sostenibili).

Non sono numeri da ignorare, ma sono numeri in trasformazione. La cultura non è neutrale. Ma può diventarlo.

Tre forme d’arte, tre risposte al cambiamento climatico

La musica può essere a basso impatto e ad alta intensità emotiva. Il progetto Karma Clima dei Marlene Kuntz, ad esempio, porta la musica in residenze artistiche ospitate in piccoli borghi montani, trasformando i luoghi in laboratori creativi a basso impatto ambientale. Concerti unplugged, viaggi sostenibili, incontri con le comunità locali e una progettazione culturale ispirata all’economia circolare fanno di questo progetto un esperimento italiano raro e potente. Il disco, nato da queste esperienze, è una riflessione poetica e ruvida sulla crisi climatica, sull’abitare il presente e sul bisogno di nuovi futuri.

Fuorigrotta, Napoli - Scuola secondaria di I grado Silio Italico 
#UnlockTheChange, promuove attraverso l’arte un cambiamento in favore di modelli socioeconomici sostenibili

La pittura diventa attivista: le vernici fotocatalitiche, come quelle usate da Airlite nei murales di Napoli, abbattono fino all’88% degli ossidi di azoto (NOx) e fino al 99% dei batteri presenti nell’aria.

Pensa che, secondo il produttore, una superficie trattata grande quanto lo spazio occupato da un albero adulto riesce a purificare l’aria quanto l’albero stesso. L’arte murale diventa così anche azione ambientale concreta, come dimostrano i progetti realizzati a Milano e Roma tra il 2019 e il 2023.

La scultura può trovare il modo di dialogare con la natura: le opere sottomarine di Jason deCaires Taylor diventano barriere coralline artificiali. Realizzate con materiali a pH neutro, sono progettate per favorire la colonizzazione da parte di pesci, coralli e alghe, contribuendo alla rigenerazione marina. Secondo il sito dell'artista, alcune installazioni hanno visto aumentare la biodiversità locale fino al 300% nel giro di due anni.

Cattedrale Vegetale (Val.Sella) – Giuliano Mauri

La Land Art, invece, lavora spesso sulla relazione fragile tra uomo e paesaggio. Nel progetto italiano Arte Sella, ad esempio, le opere non sono semplici oggetti da contemplare, ma organismi vivi che si integrano nel contesto naturale, si modificano con le stagioni, si degradano e spariscono. È una forma d’arte che non lascia cicatrici, ma tracce: temporanee, mutevoli, in ascolto del territorio e delle sue fragilità. Qui l’arte non solo rappresenta il cambiamento climatico - lo abita.

SciArt: la bellezza della complessità

C'è un nuovo campo dove arte e scienza si incontrano: si chiama SciArt. Non è solo estetica, ma epistemologia. Un modo per capire sentendo.

Un esempio sorprendente? Plastic Air dell’artista e designer Giorgia Lupi. In questo progetto, le invisibili microplastiche presenti nell’aria vengono trasformate in un’esperienza interattiva visiva e sonora. Partendo da dati scientifici, Lupi ha creato paesaggi digitali eterei che mostrano l’invisibile: ciò che respiriamo ogni giorno ma non vediamo. Un'opera che, senza urlare, lascia senza fiato.

E in azienda? L'arte è strategia

L'arte non decora la sostenibilità: la sfida. Ecco perché alcune aziende lungimiranti iniziano a integrarla nei propri percorsi ESG:

  • Residenze d'artista in impresa, per stimolare pensiero laterale;
  • Installazioni partecipative che coinvolgono dipendenti e stakeholder;
  • Formazioni teatrali per esplorare temi come il cambiamento, la resilienza, la complessità.

L’arte in azienda non è solo decorativa: è uno strumento strategico. Le aziende che possiedono una collezione artistica in sede registrano spesso performance economiche migliori rispetto a chi non ne ha.

Uno studio dell’Università di Exeter ha dimostrato che i dipendenti che possono personalizzare i propri spazi - anche con opere d’arte - sono più felici, più sani e fino al 32% più produttivi.

E allora cosa voglio dirti?

Voglio dirti che forse serve più arte. Non per rendere la sostenibilità più bella, ma per renderla più vera. Perché l’arte ci tocca, ci costringe a sentire.

Così ripenso a McCurry e alla sua foto. Un’immagine che non consola, ma incrina. Come se l’arte, a volte, servisse proprio a spostare l’equilibrio - non a rimetterlo a posto.

Anche in azienda, a scuola, tra le righe di un bilancio, serve qualcosa che ci tenga svegli. Un colore fuori scala, un gesto che non torna. Un punto di vista inaspettato.

E come canta Niccolò Fabi: "Costruire è sapere rinunciare alla perfezione". Forse anche questo ci insegna l’arte.

A non cercare risposte perfette. Ma nuove domande.


Chiara Pontoni

Sustainability Manager Gesteco

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